Articolo su Eutekne a cura del dott. Nunzio Ragno
Con la risoluzione n. 92 di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito il tanto dibattuto utilizzo del meccanismo del reverse charge confermando le tesi da sempre sostenute dal dott. Nunzio Ragno, in qualità di Presidente dell’A.N.T.I.C.O.
L’Agenzia riconosce lo stesso trattamento previsto per il materiale d’oro a cessioni di prodotti d’oro finiti usati a fonderie e a fabbricanti/produttori.
Con la risoluzione n. 92 di ieri, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito il tanto dibattuto utilizzo del meccanismo del reverse charge (art. 17, comma 5 del DPR 633/72 introdotto dall’art. 3, comma 4 della L. 7/2000) nella cessione di oggetti preziosi usati e/o avariati da parte dei “Compro Oro” e di altri operatori del settore orafo a fonderie e a industrie orafe.
Sostanzialmente, l’incertezza era relativa all’applicazione dell’inversione contabile anche agli oggetti di gioielleria usati destinati alla lavorazione industriale (applicazione del reverse charge per assimilazione al materiale industriale) alla stregua dei “rottami auriferi”, in luogo del regime speciale IVA del margine previsto per gli oggetti preziosi usati di gioielleria.
La L. n. 7/2000, infatti, consente espressamente l’assolvimento dell’IVA col metodo del reverse charge solo alle cessioni di materiale d’oro ad uso industriale oltre che, per opzione, a quelle di oro da investimento, ma nulla stabilisce per gli oggetti d’oro finiti. Detto questo, la possibilità che sugli stessi beni preziosi usati si possa adottare l’inversione contabile, a condizione che gli stessi oggetti siano stati ceduti esclusivamente per la fusione finalizzata al recupero di materiale prezioso, è stata riconosciuta dalla risoluzione 375/2002.
A rafforzare tale possibilità sono poi stati alcuni pareri di Direzioni regionali dell’Agenzia delle Entrate successivi alla citata ris. 375, come il n. 130749/2011 della DRE Lombardia e il n. 35481/2011 della DRE Toscana, fino ad arrivare all’ultimo, il n. 82064 del 22 luglio 2013, ancora della DRE Lombardia. Già nei documenti appena citati appare importante l’esclusiva attività svolta dal cessionario (lavorazione e fusione) ai fini dell’assimilazione e del comportamento fiscale IVA da adottare. Infatti, se ne può trarre quasi “un obbligo” e non una “facoltà” nell’adozione del reverse charge quando gli oggetti preziosi, per certo, giungono a fondachieri che svolgano solo ed esclusivamente l’attività di fusione.
La risoluzione n. 92, però, chiarisce con evidenza il concetto di “destinazione” a cui lega l’assimilazione di tali beni usati al “materiale d’oro ad uso industriale ed ai semilavorati” che, come detto, godono dell’assolvimento dell’IVA con il reverse charge e riserva l’utilizzo del regime del margine, disciplinata dall’art. 36 del DL 41/95, agli oggetti usati reinseriti nel circuito commerciale per l’utilizzo a cui destinati.
Dalla ris. 375, che fissa il concetto di assimilazione, nasce l’equivoco che ha generato il progetto Gold Scrap e ha innescato diverse verifiche e accertamenti, da cui sono scaturiti recuperi d’imposta e comminate sanzioni. Infatti, mentre l’interpellante faceva riferimento all’acquisto di oggetti preziosi usati dai “Compro Oro”, l’Agenzia, nella risposta, faceva riferimento alla cessione di rottami auriferi.
Un primo elemento di novità introdotto nella ris. di ieri è il riconoscimento dello stesso trattamento fiscale IVA previsto per il materiale d’oro alle cessioni di prodotti d’oro finiti usati a fonderie e a soggetti fabbricanti/produttori di gioielleria e oreficeria; altro punto, di non inferiore importanza, è rappresentato dalla previsione dello stesso trattamento anche per i prodotti preziosi di argento che, quindi, sono equiparati a tal fine ai preziosi in oro.
Dunque, un monile sano, al di là del proprio stato fisico merceologico (condizioni di rotto e/o difettoso) può, a tutti gli effetti, rappresentare (aspetto IVA) un “rottame” proprio per la sua conseguente destinazione e per il suo utilizzo esclusivo a fusione.
Sempre secondo la ris. 92, è però diversa la situazione in cui il cessionario esercita, contestualmente, anche l’attività di commercio dei beni usati: in tal caso, si esclude che i beni d’oro usati ceduti possano essere ritenuti per “vocazione” sempre destinati ad un processo di trasformazione industriale. Questa condizione creerebbe un’equivocità nella reale destinazione dei beni e, pertanto, impedirebbe l’utilizzo dell’art. 17, comma 5 del DPR 633/72 a favore del regime del margine dei beni usati e/o dell’applicazione dell’IVA nei modi ordinari.
Con tali precisazioni, auspicate già da tempo, l’Agenzia scioglie ogni dubbio sulla questione, ponendo l’accento su una terminologia ricavabile in precedenza dalla prassi fiscale diffusa, ma non puntualmente chiara.
Ciò che, paradossalmente, si ricava da tali indicazioni è che l’atteggiamento fiscale (IVA) da adottare debba essere ricondotto alla condizione soggettiva e oggettiva del soggetto cessionario di turno, che potrebbe, liberamente e per motivi anche sconosciuti, astenersi dal rivelare la propria e completa attività aziendale svolta, causando, indirettamente, uno scompenso al cedente. È come dire che prima di agire bisognerebbe fare i conti in casa di altri.
Autore: dott. Nunzio Ragno
Presidente Associazione Nazionale “Tutela I Compro Oro”
dottore commercialista